Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/154

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ro della morte. Forse era anzi da essa ch’io traevo il mio sorriso. Voglio dire che quando arrivavo a sorridere di lui, potevo poi sorridere di tutto». Non si poteva vivere senza pensare alla fine. La natura dell’uomo lo esigeva. Il pensiero della morte era quello che agli altri forniva la religione. In lui non s’era evoluto. Era rimasto una religione accettata e conservata come perfettamente corrispondente ad ogni bisogno. Non occorreva il cielo per divenire buoni e misericordiosi. Il pensiero della morte mitigava tutto. L’ardore della lotta per la vita si mitigava nella decisione di prepararsi alla morte. Anche la sconfitta in quella luce si faceva insignificante. «Ma non era questo ch’io volevo. Io volevo proprio prepararmi alla morte. Per te, per me, per tutti. Niente mi parve mai tanto compassionevole o ridicolo quanto i movimenti scomposti dell’animale quando il coltello del macellaio lo raggiunge.»

Essa ebbe un brivido: «Quando viene quel momento è proprio un momento privo d’importanza. Un prossimo futuro piú importante incombe su noi. Come si potrebbe riguardare come importante il breve dolore che allora può affliggerci?».

Egli cortesemente annuí: «È vero. Dopo viene dell’altro e dura a lungo».

Riparlarono d’altro. Ritornarono ai figliuoli ch’erano oramai lontani. Ma perché avevano parlato della morte, tutto parve loro ora piú vicino. E quando andarono a coricarsi egli la baciò in fronte e la strinse a sé come se avesse cercato d’imitare nel gesto l’amore che tanto tempo prima li aveva indotti a legarsi per la vita. Una cosa dolcissima. Tanto piú dolce che quando l’istinto aveva inventato quel gesto.

Poi prima di addormentarsi egli pensò: “La morte non minaccia me. Io sono forte. Come sopporterà lei la mia morte? Come sentirà poi l’ulteriore minaccia su lei? Saprà imitare la mia rassegnazione? Ma come potrà lei sentire che nella legge generale non può esserci dolore né spavento?”.