Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/158

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frendo e, per un attimo, gli parve che poterle parlare significasse interrompere l’angoscia: «Che ti disse il dottore?» domandò facendo finalmente un movimento che non fosse imposto dall’affanno o dal dolore ma per vederla meglio. La cara figura dell’affetto. Era personificata dal suo e dal proprio affetto. Nella penombra bianca e bionda pareva trasparente. Oh, sí, un vero sollievo.

«Nulla di speciale» disse Teresa dandosi da fare a drizzare il proprio letto.

«Eppure ti trattenne a lungo. O forse son io cui pare che i minuti sieno ore?» Guardò l’orologio.

«No, no» mentí Teresa. «Avevo dimenticato di lasciar fuori il caffè per domattina e dovetti andar in cucina.»

Il malato non insistette. Il suo respiro era celere solo dopo ogni suo movimento che implicasse uno sforzo.

«Coricati» disse alla moglie. «Farò del mio meglio per lasciarti tranquilla. È il momento d’intensificare il mio esercizio.»

Ella finse di non aver udito tali parole; si sentiva salire alla gola dei singhiozzi e non sarebbe stato possibile di trattenerli se avesse voluto rimproverargliele. Disse semplicemente e assumendo un’aria di distrazione: «Non ho sonno. Vuoi che ti legga il giornale?».

Neppure lui non ripeté quelle parole pentito di averle dette. Era un modo di torturarla anche quello di ricordare il proprio proposito. Rispose dolcemente: «Vorrei che tu subito ti adagiassi per dormire. Chissà? Forse sarò costretto di destarti e tutto quello che puoi guadagnare di sonno è un beneficio per te». Ed egli ebbe anche lo svago di poter rivedere se sul tavolo di notte ci fosse a portata di mano tutto ciò di cui poteva abbisognare. Il tempo andava via non riempito di sola angoscia.

E fu molto bravo Roberto quella notte. Teresa dapprima tenne gli occhi aperti senza sforzo e saltava su ad ogni movimento del marito. Ma egli riuscí a immobilizzarsi. Quando voleva moversi trovava un sollievo nella stessa propria resistenza. E diceva con risoluzione al male ch’egli aveva per-