Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/261

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II


Da un giorno all’altro Alessandro restò privo di lavoro. Era una cosa inaspettata perché la bottega che Alessandro aveva ereditata da suo padre non aveva mai mancato di lavoro. In complesso già pel padre il cliente maggiore era stato un grande esportatore di perle di Murano. La bottega poi forniva dei mastelli alle case del rione, lavoro che aveva avuto qualche importanza prima della costruzione dell’Acquedotto ed ora non ne aveva alcuna.

Un giorno capitò da Murano un impiegato della fabbrica ad avvisare Alessandro che intendevano di non prendere altri barili avendo finalmente scoperto che l’impacco buono per le perle era la cassa.

Anche questa scena rimase impressa a Marianno. Il povero Alessandro non arrivava a capire bene. Dubitava della verità della comunicazione. Aveva i sudori freddi alla fronte. Volle mostrarsi disinvolto e ironico: «Gavé trovà el modo de far rodolar le casse?». Poi però sentendo che gli minacciava un colpo andò ai suoi ordigni in fondo alla bottega e disse a Marianno di parlar lui perché egli cominciava a non capire piú niente. «No segàr quella doga perché no ghe ne gavemo piú bisogno!»

Marianno che aveva allora quattordici anni si mise di buona volontà a parlare con l’impiegato. Egli non intendeva bene l’importanza che Alessandro attribuiva alla comunicazione del loro cliente. Si figurava che a questo mondo si sarebbero fatti sempre dei barili, nel modo che gli facevano loro; anzi il difetto era che il mondo ne domandava troppi di barili.

L’impiegato, un giovinotto cortesissimo però piú disposto a ridere che a piangere ripeté volontieri la sua missiva a Marianno che sorrideva anche lui incantato di vedersi divenuto uomo d’affari.

Marianno aveva capito e gli pareva che non ci fosse nulla a ridire. La ditta di Murano non voleva altri barili; perciò