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IN SERENELLA


I


L

A luce veniva lenta a destare i colori della palude, del canale, della spiaggia verde dell’isola. L’enorme piano s’era illuminato gradatamente tutto nello stesso tempo. Il sole non si vedeva ancora ma la luce che riverberava dal cielo si diffondeva senz’ostacoli dappertutto nello stesso tempo. Al di là della palude appariva la città con l’aspetto modesto ch’essa ha da quella parte, pareva un alveare disabitato. I profili delle case si scorgevano netti, limpidi, come se la notte li avesse lavati. In tanta estensione l’immobilità, il silenzio appariva grande sorprendente. La palude era rossigna a quell’ora; vista da vicino appariva sucida, desolata, abbandonata com’era da varie ore dall’acqua che ancora calava. Il canale che divideva la palude dall’isola già sorrideva, trasformando in colore ben deciso la luce ancora sbiadita ed era trasparente e azzurro e poi ancora giallo e rosso là dove meno profondo lambiva la palude.

Alla spiaggia la casa padronale che all’esterno pareva una lunga tettoia in varie sezioni dai tetti appuntiti era chiusa ancora e silenziosa. A questa di faccia lontana dalla riva invece la casa dell’operaio Cimutti dava qualche indizio di vitalità. A pianterra ardeva una fioca lucerna e sul focolare stentava ad accendersi il fuoco.

Poi la porta s’aperse e ne uscí Cimutti un uomo ancora giovine, magro, dalla piccola testa coperta fittamente di capelli neri, corti. Con lui entrò nel panorama il freddo. Batteva – per scaldarsi – i piedi, e lanciava in croce le braccia.

Doveva avere l’abitudine di parlare ad alta voce. Gettò un’occhiata d’antipatia alla casa padronale e disse: «Se quell’impiastro fosse alzà se poderave averzer el magazzen e stivar i barili». In quella chetamente la porta dell’abitazione padronale si aperse senza cigolare e ne uscí il signor Giulio. Doveva