Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/299

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in ufficio. Sono qui pronto. Se capita un’altra guerra mi rimetterò al lavoro.

E giacché lo nominai parlerò di Alfio. Mi fa bene di raccogliermi perché io davvero non so come trattare con lui. Mi capitò a casa dopo la guerra, un ragazzone di 15 anni tutt’altra cosa di quel fanciullino ch’era partito, allampanato, lungo, trascurato nel vestire. Vidi subito una distrazione in lui, l’incapacità di continuar a far oggi quello che aveva iniziato il giorno prima, delle qualità insomma ch’io conoscevo e che in me erano state curate radicalmente dal grande uragano. Pensai che sarei stato attento di non cadere nei difetti di mio padre e che avrei saputo trattare altrimenti mio figlio. Ma Dio mio! Guai se a mio padre fosse toccato un figlio simile. Io ero tanto meglio preparato di lui dalla mia cultura e dalla mia vita attiva a sopportare delle novità eppure non sapevo come guardarlo, come sopportarlo. Io gli lasciavo fare tutto quello che voleva. Abbandonò il Ginnasio subito dopo la riforma Gentile che poco gli si confaceva ed io non protestai con una sola parola. Gli dissi solamente che cosí egli perdeva la possibilità di acquistare un rango accademico con tono un po’ commosso; perdevo anch’io una speranza. Gli parve un’intromissione inamissibile e disse che fra me e lui c’era non solo una differenza d’età ma molto di piú. La guerra ci divideva. Ci trovavamo oramai in un mondo nuovo cui io non appartenevo perché nato prima della guerra. A me pareva di essere nel caso d’intendere tutto a questo mondo e al sentirmi dare dell’imbecille m’arrabbiai.

A dire il vero il nostro dissidio fu fomentato da altri. Scoppiò tale dissidio una domenica dopo pranzato. Eravamo riuniti insieme mia moglie, mia figlia Antonia, Valentino e Carlo, il figlio di Ada e Guido che studiava la medicina a Bologna e si trovava da noi per le vacanze. Cominciò Carlo che voleva dissuadere Alfio dall’abbandonare il Liceo asserendo con semplicità che Ginnasio e Liceo erano alquanto grevi ma che poi l’Università era piú gradevole. «Vi si studia» diceva Carlo, «ma non è il caso di accorgersene.» Io ero alquanto di malumore. La dieta vegetariana impostami dal dottor Raulli,