Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/307

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Io credo ch’egli si sia deciso a compiacermi in seguito al mio sproloquio su Debussy.

Risoluto fece la sua cifra: Ottocento lire.

Io trassi dalla tasca una carta da mille e con l’aspetto dell’uomo d’affari accurato gli dissi: «Mi devi duecento lire». Poi simulando una certa impazienza: «E il lavoro?».

Mi diede le duecento lire. So che coi denari egli ha un’accuratezza che non sta in relazione alle sue idee scomposte sulla ricchezza. In questo mi è superiore di molto ed io mi compiaccio di tale sua superiorità ch’è molto ammirata da sua madre. Non spende nulla ciò che potrebbe avvicinarlo ai suoi simili poveri, ma ha il portamonete sempre ben fornito ciò ch’evidentemente ne lo allontana.

In quanto al lavoro non ancora si decise di darmelo. Me l’avrebbe portato di lí a dieci minuti. Voleva scegliere il miglior lavoro che avesse. Evidentemente per pudore non voleva farmi vedere i suoi imparaticci.

Andai alla porta, ma poi ritornai a lui. «Vedi» incominciai «noi due siamo soli a questo mondo.» Mi fermai spaventato di aver la stessa parola che con tanta maggior verità era stata detta da mio padre e mi corressi. «Voglio dire che siamo i soli uomini dello stesso sangue in questa casa. Perché non avremmo da intenderci? Io farò sempre ogni sforzo per avvicinarmi a te. Vuoi imitarmi? Non posso insegnarti piú nulla e non voglio avere l’aria di un precettore. Io sono troppo vecchio per insegnare e tu sei troppo vecchio per apprendere. Hai la tua personalità, tu, e devi fare del tuo meglio per asserirla.»

Lo baciai sulla guancia ed egli, confuso, baciò l’aria. «Sí, babbo» disse commosso.

Gaiamente m’avvicinai alla porta: «Devi portare dei chiodini per affiggere subito il tuo lavoro alla parete. Sai che una cosa simile io non so farla per bene».

«Ma un dipinto ha bisogno di una cornice» disse egli. «La compererò io domani. Piccolina, modesta, per il piccolo modesto lavoro.»

«Sta bene» dissi, «ma intanto voglio cominciare subito a