Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/319

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non lo erano. Parevano crollate ma erano esattamente come prima».

Non mi trattenne neppure il pallore che subito scolorí la già bianca faccia di Alfio. L’attacco era stato cosí inaspettato ch’egli aveva lievemente alzata la testa dal piatto per figgermi in faccia i suoi dolci occhi che mi studiavano per intendere se sotto l’apparente derisione non ci fosse stata tutt’altra intenzione. Io non intesi nulla. Mi sentivo innocente: Avevo voglia di ridere e a questo scopo qualunque soggetto era buono.

Ma Alfio scoppiò: «Senti, se lo vuoi io ti restituisco il denaro che mi desti e riprendo il mio lavoro».

Ma io protestai: «E chi mi pagherà il lavoro che ci misi io?». E visto che il Cima con la sua mente lenta non arrivava ad intendere quello ch’io volessi dire spiegai che io, con uno sforzo grande e continuato, avevo completate e popolate le case di mio figlio e che ora ch’erano messe in ordine non volevo piú restituirle. Adesso, completato da me, il quadro mi piaceva. E non appena mi fossi trovato nel pieno possesso della mia salute (già da un mese prendevo a questo scopo un tonico) mi sarei dedicato all’altro quadro che ancora tenevo celato per non essere indotto a tanto sforzo.

Alfio tentò di attaccarmi: «Sai, quello che tu devi conquistare con uno sforzo, altri, meglio preparati di te all’arte lo fanno senza sforzo alcuno, guardando, come si guarda la natura stessa».

Io m’arrabbiai e negai che lo sforzo fosse reso necessario dalla mia debolezza. M’arrabbiai tanto che dimenticai ogni mio buon proposito e diedi a mio figlio dell’imbecille. Me ne pento e me ne vergogno. Com’è strano il rapporto fra padri e figli! Non vale a migliorarlo nessuno sforzo. Io che sempre avevo confessato di non intendere nulla di pittura m’arrabbiavo perché mio figlio gridava d’essere del mio stesso parere.

E gli altri fecero peggio. Valentino con quella sua lentezza di buon amministratore disse: «È certo che un artista non va la vera via se non piace a molti».