Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/362

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lui e anche a me, nella stessa maniera. Poi anche Antonietta mi somigliava. E non sapeva darne la prova. «Ma c’è qualche cosa fra di voi di simile. Qualche cosa che a me non piace, allo stesso modo non piace, ma che in te destò una mia compassione, un dispiacere, per te, per te, sai, e in lei invece un po’ d’ira.»

Si correva in automobile verso Miramare. Il sole era tramontato da poco ed era una beatitudine posare gli occhi sull’immensa distesa di acqua su cui si baloccavano miti colori riposanti che non sembravano trasformati da quelli abbacinanti che li avevano preceduti. Io m’abbandonai a tale riposo e cercai di dimenticare la mite donna che mi stava accanto e che m’aveva indovinato meglio di quanto io e, come spero, lei stessa lo sapessimo.

E vidi per un momento i caratteri umani ereditarsi l’uno dall’altro, perfettamente deformi ma sempre trasparentemente identici in modo che persino Augusta se ne potesse accorgere con un’ispirazione non basata sulla ragione. Ma poi mi ribellai: A che cosa serviva la legge dell’eredità se tutto poteva risultare da tutto? Tanto fa non saperne niente se si doveva ricercare come Carlo sia disceso da quella bestia di Guido e quei bestioni di Antonietta e Alfio da me.

Ma Carlo aveva già allora in città la posizione di un giovine dottore di qualche nome. Sapeva trattare con tutti, lui, risparmiando la dignità di coloro di cui gl’importava, niente affatto quella delle persone da cui non dipendeva, ma anche sempre la propria. Anche il Raulli lo stimava ma credo, un poco, lo temesse. Pare che nei primi giorni della sua ammissione all’ospedale Carlo abbia osato fra colleghi una diagnosi un po’ azzardata. Il Raulli lo tacciò davanti ad altri dottori d’ignoranza. E Carlo si difese con una frase che prima girò fra’ medici e poi trapelò fra il pubblico creandogli una fama come se avesse salvato la vita ad un moribondo. Ancora adesso quando si nomina il dott. Speyer la gente si mette a ridere: «Ah, quello dell’ignoranza e dell’errore!». Infatti era lui. Carlo aveva dichiarato al Raulli che certo i giovani dottori si trovavano nell’ignoranza, ma che, com’era provato