Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/394

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mente perché il mio sapone fu intanto sequestrato. C’erano due ragioni, pare, per togliergli la libera viabilità: il bisogno urgente che la gente ne aveva eppoi il fatto che il sapone non bene corrispondeva nella sua contenenza a certe leggi austriache di cui anch’io sapevo qualche cosa. Poi incominciarono delle trattative che durarono qualche mese. Infine ebbi il mio sapone libero ma intanto il mondo aveva avuto il tempo di rifornirsi del materiale dal consumo tanto lento ed io dovetti venderlo sotto prezzo ed in corone austriache che mi pervennero solo quando non c’era piú il tempo di cambiarle. Valevano pressocché nulla. Quest’ultimo affare mi portò via quasi tutto il beneficio da me realizzato con tanta fortunata intraprendenza durante la guerra. Fu duro rassegnarvisi e tanto piú in quanto il giovine Olivi che nel frattempo era arrivato ancora vestito da sottotenente non sapeva guardare i miei bilanci passati con benefici importanti ch’erano stati tutti assorbiti da quell’ultimo disgraziatissimo affare senza ridere. Dimostrava anche un grande disprezzo per gli affari di guerra e un giorno asserí ch’era troppo naturale che in tempo di pace fosse subito distrutto chi s’era abituato a lavorare in tempo di guerra. Mormorò anche: «Già se io avessi potuto comandare avrei fatto fucilare tutti quelli che durante la guerra commerciarono». Poi si ravvisò e, senza ridere, aggiunse: «Meno lei... naturalmente».

Il timido giovinotto durante la guerra s’era fatto molto ardito. Ne ebbi paura dapprima. Come avrebbe atteso ai miei affari un uomo ch’era tanto fortemente intinto di bolscevismo? Ad ogni tratto sputava delle sentenze contro i ricchi. Lui e suo padre erano corsi in Italia coi loro titoli austriaci sotto il braccio. Senza pensarci altro egli era andato in trincea e quando finalmente gli riuscí di distruggere le trincee nemiche apprese che nello stesso tempo aveva distrutto anche la propria sostanza. Ciò lo amareggiò profondamente.

«E vostro padre?» arrischiai io. «Lui, poi, era un uomo d’affari. Non come io che sono un commerciante di guerra né voi che siete un uomo d’arme.»