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COME NON SI DEVE GUIDARE


A quarant’anni il signor Refossi ebbe finalmente i mezzi di acquistare una macchina. Spese circa ventimila lire e, a calcoli fatti, prevedendo anche il consumo delle gomme con la sua macchina leggera avrebbe speso tanto di benzina che giornalmente avrebbe avuto un vantaggio di qualche poco in confronto alla spesa del tranvai di Opcina ch’è tanto elevata. Naturalmente quando sarebbe sceso in città suo figlio che quel giorno era lievemente indisposto. Il suo maestro gli aveva spiegato ed egli aveva fatto anche la sua praticaccia su una pista. La legge della via era facile. La destra, in certi casi la sinistra. Niente di piú facile. Si pensa alle proprie braccia e si scopre la parte debole ch’è la sinistra, la parte meno abile meno pronta, la parte dell’organismo un po’ paralizzata. L’altra è la destra.

Uscí dal garage con attenzione e piena decisione. Era un po’ stretta l’uscita ma il signor Refossi aveva già una pratica dei passaggi stretti. Bisognava abbandonarsi alla propria ispirazione. Lavorando troppo sul volante lasciandosi guidare dai dubbî si poteva finire male. Dove passavano i parafanghi passava tutta la macchina. La piccola deviazione che si doveva fare dapprima e che rendeva difficile l’uscita doveva essere dimenticata. Tutto il resto era rigidamente diritto.

Ma quale sollievo arrivare alla via larga! Non tenere troppo la destra perché il prossimo è tanto pazzo che poteva seguire la parte non sua e allora bisognava essere pronto di correggere con rapida decisione l’errore altrui e passare a sinistra (la parte debole, quella quasi paralizzata, forse da un errore d’educazione che si poteva rimpiangere) perché qui l’errore altrui diveniva il danno proprio. Bisognava essere pronti a tutto per non uccidere e non essere uccisi. Anche il primo caso era carico di lungo dolore. Pensare ai propri defunti (come il signor Refossi aveva sentito dire che un assassino chiamava