Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/59

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chi rotondi sotto agli occhiali, con piena, grande diffidenza. Quando avvenne la solita rivoluzione all’arrivo a Verona e la gente di tutto il vagone si mosse, uscendo a prendere aria sulla banchina della fosca stazione o per restare nella piú luminosa delle città, il giovanotto si destò, si levò e uscí sul corridoio a guatare la penombra, la fronte poggiata sul vetro della finestra.

Il Borlini si chinò all’Aghios: «Chi geme in pubblico, si prepara a domandare dei denari in prestito».

Era una gentilezza e l’Aghios sorrise per ringraziare, ma non sentí gratitudine. Se si doveva guardare con diffidenza un uomo che gemeva, allora si faceva meglio di restare celato fra le proprie pareti e non moversi. Sentire un gemito e diffidare? Solo diffidare? Era proprio come chi si mette a correre sentendo chiamare aiuto, perché il grido è in sé un avvertimento di pericolo.

Il giovanotto ritornò al suo posto e si sdraiò nel suo cantuccio proprio nella posizione di prima. Intanto il signor Aghios intese ch’egli non poteva soccorrerlo neppure con una parola. La buona educazione imponeva cosí. Quando si sorprende un gemito si deve fingere di non averlo sentito. Non per niente si era un gentiluomo. Tutto doveva continuare come se il gemito non fosse stato emesso. «Non devi intrudere» ammoní se stesso il signor Aghios.

III

VERONA - PADOVA


Ma prima di abbandonare Verona la vettura accolse tre nuovi ospiti che al signor Aghios parve di riconoscere. Il contadino, la moglie e la figliuola ch’egli credeva di aver visti alla stazione di Milano. Gli pareva soprattutto di riconoscere il gonnellino, rigonfio molto, della fanciulla. Questa gli pareva piú giovinetta di quella che aveva visto dormire alla stazione, perché questa non poteva avere neppure dieci anni. Ma non si poteva dirlo, perché un bambino con gli oc-