Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/61

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Anch’essa aveva la testa coperta dal fazzoletto annodato al mento. La faccia sua era rosea e fresca, gli occhi azzurri, piú chiari che della madre, grandi, la cornea bianca, luminosa anch’essa. Parlavano il veneto ed era difficile fossero venuti da Milano.

La madre si chinò e disse: «Guarda alora. No ghe xe gnente da veder». Parlava a bassa voce. Pareva intimidita dalla compagnia di quei signori silenziosi.

Il signor Aghios, che non aspettava di meglio, fece posto alla finestra: «Vuol vedere! Ha ragione! Anch’io quando viaggio voglio vedere. La ponga qui».

La bambina guardò supplichevole la madre, la quale volse il guardo come a domandare consiglio al marito. Questi sorrise: «Se sto sior xe tanto bon, no vedo perché la picola no dovaria godersela. Zà no restemo tanto, perché ghe semo subito a...».

E subito preso in braccio il piccolo fagotto di vestiti, lo depose al posto lasciato libero dal signor Aghios.

La piccina guardò la campagna che fuggiva e per qualche minuto stette silenziosa. Poi aderí con tutta la faccia al vetro e il signor Aghios sorrise perché intese che faceva cosí per vedere meglio. Indi si volse al padre piagnucolando: «Mi voria veder».

«E no ti vedi?» domandò il padre stupito.

«Mi no che no vedo!» esclamò la fanciulla e volse alla madre i chiari occhi, resi anche piú chiari dalle lacrime che cominciavano a formarvici.

La madre accorse e sedette fra il padre e la bambina, cosí che il signor Aghios dovette spostarsi ancora una volta per fare luogo, fatica che gli fu resa piú facile da un cordiale: «El scusa tanto!» del contadino, mentre il Borlini lanciava un biasimo parlante traverso ai suoi occhiali.

La madre domandò: «Ma coss’ti vol veder? No ti vedi tuto?».

La fanciulla scoppiò in pianto: «No vedo el treno».

Il Borlini scoppiò in una risata e i genitori risero anche loro, un po’ imbarazzati dalla bestialità della figliuola. Il solo