Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/157

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Io ebbi una trovata. Raccontai che per quelle vertigini che in passato m’avevano fatto soffrire, avevo scoperto un rimedio. Quando vedevo un ginnasta fare i suoi esercizi troppo in alto, o quando assistevo alla discesa da un tram in corsa di persona troppo vecchia o poco abile, mi liberavo da ogni ansia augurando loro dei malanni. Arrivavo persino a modulare le parole con cui auguravo loro di precipitare e sfracellarsi. Ciò mi tranquillava enormemente per cui potevo assistere del tutto inerte alla minaccia della disgrazia. Se i miei augurii poi non si compivano, potevo dirmi ancora più contento.

Guido fu incantato della mia idea che gli pareva una scoperta psicologica. L’analizzava come faceva di tutte le inezie, non vedeva l’ora di poter provare il rimedio. Ma faceva una riserva: che i malaugurii non facessero aumentare le disgrazie. Ada s’associò al suo riso ed ebbe per me persino un’occhiaia d’ammirazione. Io, baggeo, ne ebbi una grande soddisfazione. Ma scoprii che non era vero ch’io non avrei più saputo perdonarle: anche questo era un grande vantaggio.

Si rise insieme moltissimo, da buoni ragazzi che si vogliono bene. Ad un certo momento ero rimasto da una parte del salotto, solo con zia Rosina. Essa parlava ancora del tavolino. Abbastanza grassa, stava immobile sulla sua sedia e mi parlava senza guardarmi. Io trovai il modo di far capire agli altri che mi seccavo e tutti mi guardavano, senza farsi vedere dalla zia, ridendo discretamente.

Per aumentare l’ilarità mi pensai di dirle senz’alcuna preparazione:

— Ma Lei, signora, è molto rimessa, la trovo ringiovanita.