Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/233

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si presenti per dimostrare la propria superiorità. Essa infatti m’ammirò, ma proprio fisicamente allontanò da sè il libro ch’era il nostro Galeotto, ma che non ci accompagnò fino alla colpa. Io ancora non mi rassegnai di rinunziarvi e lo rimandai ad altra mia visita. Quando il Copler morì non ve ne fu più di bisogno. Era rotto qualunque nesso fra quella casa e la mia e così il mio procedere non poteva essere frenato che dalla mia coscienza.

Ma intanto eravamo divenuti abbastanza intimi, di un’intimità maggiore di quanto si avrebbe potuto attendersi da quella mezz’ora di conversazione. Io credo che l’accordo in un giudizio critico unisca intimamente. La povera Carla approfittò di tale intimità per mettermi a parte delle sue tristezze. Dopo l’intervento del Copler, in quella casa si viveva modestamente ma senza grandi privazioni. Il maggior peso per le due povere donne era il pensiero del futuro. Perchè il Copler portava loro a date ben precise il suo soccorso, ma non permetteva di calcolarvi con sicurezza; egli non voleva pensieri e preferiva li avessero loro. Poi non dava gratuitamente quei denari: Era il vero padrone in quella casa e intendeva di essere informato di ogni piccolezza. Guai se si permettevano una spesa non preventivamente approvata da lui! La madre di Carla, poco tempo prima, era stata indisposta e Carla, per poter accudire alle faccende domestiche, aveva trascurato per qualche giorno di cantare. Informatone dal maestro, il Copler fece una scenata e se ne andò dichiarando che allora non valeva la pena di seccare dei valentuomi per indurli a soccorrerle. Per varii giorni esse vissero nel terrore temendo di essere abbandonate al loro destino. Poi, quando ritornò, rin-