Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/236

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che perciò se essa non avesse cantato bene e fatti dei progressi, l’avrei abbandonata.

Mi parve abbattutissima. Fui preso da compassione e, visto che non c’era altro tempo di perdere, la rassicurai col mezzo ch’essa stessa aveva designato quale il più efficace. Ero già alla porta che l’attrassi a me, spostai accuratamente col naso la grossa treccia dal suo collo cui così giunsi con le labbra e sfiorai persino coi denti. Aveva l’apparenza di uno scherzo ed anch’essa finì col riderne, ma soltanto quando io la lasciai. Fino a quel momento essa era rimasta inerte e stupita fra le mie braccia.

Mi seguì sul pianerottolo e, quando cominciai a scendere, mi domandò ridendo:

— Quando ritorna?

— Domani o forse più tardi! — risposi io già incerto. Poi più deciso: — Certamente vengo domani! — Quindi, in seguito al desiderio di non compromettermi troppo, aggiunsi: — Continueremo le lettura del Garcia.

Ella non mutò di espressione in quel breve tempo: assentì alla prima malsicura promessa, assentì riconoscente alla seconda e assentì anche al mio terzo proposito, sempre sorridendo. Le donne sanno sempre quello che vogliono. Non ci furono esitazioni nè per parte di Ada che mi respinse, nè dall’Augusta che mi prese, e neppure da Carla, che mi lasciò fare.

Sulla via mi trovai subito più vicino ad Augusta che non a Carla. Respirai l’aria fresca, aperta ed ebbi pieno il sentimento della mia libertà. Io non avevo fatto altro che uno scherzo che non poteva perdere tale suo carattere perchè era finito su quel collo e sotto quella trec-