Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/239

Da Wikisource.
236

za del mio desiderio e del pericolo ch’esso rappresentava per Augusta e anche per me. Forse nel grembo della donna che mi dormiva accanto già s’iniziava un’altra vita di cui sarei stato responsabile. Chissà quello che avrebbe preteso Carla quando fosse stata la mia amante? A me pareva desiderosa del godimento che fino ad allora le era stato conteso, e come avrei io saputo provvedere a due famiglie? Augusta domandava l’utile lavanderia l’altra avrebbe domandata qualche altra cosa, ma non meno costosa. Rividi Carla mentre dal pianerottolo mi salutava ridendo dopo di essere stata baciata. Essa già sapeva ch’io sarei stato la sua preda. N’ebbi spavento e là, solo e nell’oscurità, non seppi trattenere un gemito.

Mia moglie, subito desta, mi domandò che cosa avessi ed io risposi con una breve parola, la prima che mi si fosse affacciata alla mente quando seppi rimettermi dallo spavento di vedermi interrogato in un momento in cui mi pareva di aver gridata una confessione:

— Penso alla vecchiaia incombente!

Ella rise e cercò di consolarmi senza perciò tagliare il sonno cui s’aggrappava. M’inviò la frase stessa che sempre mi diceva quando mi vedeva spaventato del tempo che andava via:

— Non pensarci, ora che siamo giovani... il sonno è tanto buono!

L’esortazione giovò: non ci pensai più e mi riaddormentai. La parola nella notte è come un raggio di luce. Illumina un tratto di realtà in confronto al quale sbiadiscono le costruzioni della fantasia. Perchè avevo tanto da temere della povera Carla di cui ancora non ero l’amante? Era evidente che avevo fatto di tutto per spa-