Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/422

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— Al nome di Ada Malfenti o Ada Speier? — domandò scherzosamente ad Ada.

Essa si strinse nelle spalle e disse:

— Lo saprete voi due come sia meglio.

— Ti dirò poi come devi fare le altre registrazioni, — aggiunse Guido con una brevità che mi offese.

Ero sul punto di interrompergli la sonnolenza cui s’era subito abbandonato, dichiarandogli che se voleva delle registrazioni se le facesse da sè.

Intanto fu portata una grande tazza di caffè nero che Ada gli porse. Egli trasse le braccia di sotto le coperte e con ambe le mani si portò la tazza alla bocca. Ora, col naso nella tazza, pareva proprio un bambino.

Quando mi congedai, egli m’assicurò che il giorno seguente sarebbe venuto in ufficio.

Io avevo già salutata Ada e perciò fui non poco preso quand’essa mi raggiunse alla porta d’uscita. Ansava:

— Te ne prego, Zeno! Vieni qui per un istante. Ho bisogno di dirti una cosa.

La seguii nel salottino ove ero stato poco prima e da cui adesso si sentiva il pianto di uno dei gemelli.

Restammo in piedi guardandoci in faccia. Essa ansava ancora e per questo, solo per questo, io per un momento pensai che m’avesse fatto entrare in quella stanzuccia buia per domandarmi l’amore che le avevo offerto.

Nell’oscurità i suoi grandi occhi erano terribili. Pieno d’angoscia mi domandavo quello che avrei dovuto fare. Non sarebbe stato mio dovere di prenderla fra le mie braccia e risparmiarle così di dover domandarmi qualche cosa? In un istante quale avvicendarsi di pro-