Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/446

Da Wikisource.

443

che in presenza degli altri non volevamo. Mentre l’aiutavo, riflettei e finii col trovare quello che dovevo dirle:

— Tu sai ch’egli ora giuoca! — le dissi con voce seria. Mi viene talvolta il dubbio ch’io con tali parole avessi voluto rievocare l’ultimo nostro ritrovo che non ammettevo fosse talmente dimenticato.

— Sì — essa disse sorridendo, — e fa molto bene. È divenuto bravo abbastanza, a quanto mi dicono.

Risi con lei, forte. Mi sentivo sollevato da ogni responsabilità. Andandosene essa mormorò:

— Quella Carmen è sempre nel vostro ufficio?

Non arrivai a rispondere perchè corse via. Fra di noi non c’era più il nostro passato. C’era però la sua gelosia. Quella era viva come nell’ultimo nostro incontro.

Adesso, ripensandoci, trovo che avrei dovuto accorgermi molto tempo prima di esserne espressamente avvisato, che Guido aveva cominciato a perdere in Borsa. Sparve dalla sua faccia l’aria di trionfo che l’aveva illuminata e manifestò di nuovo quella grande ansietà per quel bilancio chiuso a quel modo.

— Perchè te ne preoccupi — gli domandai io nella mia innocenza — quando hai già in tasca quello che occorre per rendere del tutto reali queste registrazioni? Avendo tanti denari non si va in carcere. — Allora, come lo seppi poi, egli in tasca non aveva più nulla.

Credetti tanto fermamente ch’egli avesse legata a sè la fortuna che non tenni conto di tanti indizii che avrebbero potuto convincermi altrimenti.

Una sera, di Agosto, egli mi trascinò di nuovo a pesca con lui. Alla luce abbagliante di una luna quasi piena c’era poca probabilità di pigliare qualche cosa all’amo. Ma egli insistette dicendo che in mare avremmo