Pagina:Svevo - La novella del buon vecchio e della bella fanciulla ed altri scritti, 1929.djvu/137

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spondere ai varii brindisi, ero ritornato al vino da pasto comune, un vino istriano secco e sincero, che un amico di casa aveva inviato per l’occasione. Io l’amavo quel vino, come si amano i ricordi e non diffidavo di esso, nè ero sorpreso che anzichè darmi la gioia e l’oblio facesse aumentare nel mio animo l’ira.

Come potevo non arrabbiarmi? M’avevano fatto passare un periodo di vita disgraziatissimo. Spaventato e immiserito, avevo lasciato morire qualunque mio istinto generoso per far posto a pastiglie, goccie e polverette. Non più socialismo. Che cosa poteva importarmi se la terra, contrariamente ad ogni più illuminata conclusione scientifica, continuava ad essere l’oggetto di proprietà privata? Se a tanti, perciò, non era concesso il pane quotidiano e quella parte di libertà che dovrebbe adornare ogni giornata dell’uomo? Avevo io forse l’uno o l’altro?


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Quella beata sera tentai di costituirmi intero. Quando mio nipote Giovanni, un uomo