Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/214

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stra, senza pietà. — Molto stanca? — chiese Emilio ad Angiolina e, poichè il Balli non lo vedeva, le accarezzò e sorresse il mento. Ella mosse le labbra per baciare quella mano, ma non mutò di posizione. — Posso resistere ancora per un poco. — Oh, come era ammirabile, sacrificandosi a quel modo per un’opera d’arte. Se egli fosse stato l’artista, avrebbe considerato quel sacrificio come una prova d’amore.

Poco dopo, il Balli concesse un breve riposo. Egli stesso non ne sentiva certo il bisogno e nel frattempo si diede da fare intorno alla base. Nel suo lungo mantello di tela egli aveva un aspetto sacerdotale. Angiolina, seduta accanto ad Emilio, guardava lo scultore con malcontenuta ammirazione. Era un bell’uomo, con quella sua barba elegante, brizzolata, ma dai riflessi d’oro; agile e forte saltava dal bilico e vi risaliva senza che la statua si scuotesse, ed era la personificazione del lavoro intelligente, in quella sua rude veste da cui sporgeva l’elegante solino. Anche Emilio lo ammirava, soffrendone.

Si ritornò presto al lavoro. Lo scultore schiacciò ancora un poco la testa, senza curarsi se così le faceva perdere quel po’ di forma che aveva avuta. Aggiunse dell’argilla da una parte, ne tolse dall’altra. Si doveva supporre che copiasse, visto che guardava spesso il modello, ma ad Emilio non parve che l’argilla riproducesse alcun tratto della faccia d’Angiolina. Quando Stefano finì di lavorare, glielo disse, e lo scultore gl’insegnò a guardare. Per il momento la somiglianza non esisteva, che quando si guardava