Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/215

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quella testa da un solo punto. Angiolina non si riconobbe e le dispiacque anzi che il Balli credesse di aver ritratta la sua faccia in quella cosa informe. Emilio vide quella somiglianza evidentissima. La faccia pareva addormentata, immobilizzata da una fasciatura aderente, gli occhi, non fatti, sembravano chiusi, ma si capiva che l’alito vitale stava per animare quel loto.

Il Balli avvolse la figura con un lenzuolo bagnato. Era soddisfatto del proprio lavoro, e ne era agitato.

Uscirono insieme. L’arte del Balli era veramente l’unico punto di contatto fra i due amici; parlando dell’idea dello scultore, si sentirono riavvicinati e, per quel pomeriggio, i loro rapporti ebbero una dolcezza, quale non avevano avuta da gran tempo. Perciò chi fra i tre si divertì meno fu Angiolina, la quale si sentiva quasi il terzo incomodo. Il Balli, cui non piaceva di farsi vedere in quella compagnia nelle vie ancora chiare, volle ch’ella li precedesse, ciò ch’ella fece, ritta sdegnosamente, il nasino all’aria. Il Balli parlò sempre della statua, mentre Emilio seguiva con gli occhi i movimenti della fanciulla. In tutte quelle ore non ci fu posto per la gelosia. Il Balli sognava, e quando s’occupava d’Angiolina, era solo per tenersela lontana senza scherzare e senza maltrattarla.

Faceva freddo e lo scultore propose di entrare in un’osteria a bere del vino caldo. Visto che nel locale v’era molta gente e un acre sentore di cibo e di tabacco, decisero di restare nel cortile. Dapprima Angiolina, spaventata dal freddo, protestava, ma poi,