Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/228

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chiesto come la sorella si sarebbe comportata nel caso in cui avesse avuto da rispondere alla lettera del Volpini; le comunicò i risultati ottenuti. La donna onesta avrebbe provato da prima una grande, enorme sorpresa; poi il dubbio che si trattasse di un malinteso e in fine, ma appena in fine, il sospetto orribile che tutta la lettera fosse da attribuirsi al desiderio dell’amante di sottrarsi ai suoi impegni. Angiolina fu incantata di tutta quella ricostruzione di un processo psicologico, ed egli si mise subito al lavoro.

Ella gli sedette accanto zitta zitta. Si lavorava per lei e, appoggiata con una mano sul suo ginocchio, la testa vicinissima alla sua per poter leggere subito quello ch’egli via via scriveva, gli si faceva sentire senza incomodarlo punto nello scrivere. Quella vicinanza tolse alla lettera l’aspetto di rigida preparazione e — se non fosse stata destinata ad un uomo come il Volpini — anche l’efficacia, perchè perdette la misura dignitosa ch’egli aveva pensato di dover darle. Perciò penetrò in quelle frasi qualche cosa di Angiolina. Gli venivano alla penna dei grossi paroloni ed egli li lasciava correre beato di vederla estatica dall’ammirazione, con la stessa espressione con la quale giorni prima aveva guardato, nello studio, il Balli.

Poi, senza rileggerla, ella si mise a copiare quella prosa, soddisfattissima di potervi apporre la propria firma. Ella era apparsa ben più intelligente quando aveva ragionato sul modo di comportarsi, che non ora nella sua incondizionata approvazione. Copiando