Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/250

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Il Carini rispose che sul decorso della malattia egli non poteva dir nulla. — Mi trovo dinanzi ad un’incognita, a una malattia di cui non conosco che il momento presente. Ci sarà crisi? E quando? Domani, questa sera, di qui a tre o quattro giorni, che ne so io?

Emilio pensò che tutto ciò autorizzava le più ardite speranze e lasciò il Balli a continuare l’interrogatorio del medico. Egli si vedeva accanto Amalia guarita, assennata, ridivenuta capace di sentire il suo affetto.

Il peggior sintomo che il Carini osservasse in Amalia, non era la febbre nè la tosse; era la forma del delirio, quel chiacchierio agitato e continuo. Aggiunse a bassa voce: — Non sembra un organismo adatto a sopportare delle temperature elevate.

Si fece dare l’occorrente per scrivere, ma, prima di fare la ricetta, disse: — Per combattere la sete le darei del vino con dell’acqua di selz. Ogni due o tre ore le permetterei di prendere un bicchiere di vino generoso. Già — fece esitante — la signorina dev’essere abituata al vino. — Con due tratti risoluti di penna scrisse la ricetta.

— Amalia non è abituata al vino — protestò Emilio. — Anzi non lo può soffrire; non sono stato mai capace d’indurla ad abituarvisi.

Il dottore fece un gesto di sorpresa e guardò Emilio come se non avesse potuto credere che gli fosse detta la verità. Anche il Balli guardò Emilio con occhio scrutatore. Egli aveva già capito che il dot-