Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/253

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fantesca in farmacia. Uscì accompagnata da un’occhiata d’ammirazione del Balli. Non occorreva consegnarle dei denari, perchè, per una vecchia abitudine, i Brentani avevano conto aperto in farmacia.

Il Balli mormorò: — La bontà così semplice mi commuove più che non la genialità più alta.

Emilio aveva preso il posto lasciato libero da Elena. Da parecchio tempo l’ammalata non diceva alcuna parola comprensibile; borbottava indistintamente quasi si fosse voluta esercitare a pronunciare delle parole difficili. Emilio poggiò la testa sulla mano e stette ad ascoltare quell’affanno sempre uguale, vertiginoso. Era dalla mattina che lo udiva, e gli pareva divenuto una qualità del proprio orecchio, un suono da cui non avrebbe saputo più liberarsi. Ricordò, che una sera, ad onta del freddo, s’era alzato in camicia dal letto per usare una gentilezza alla povera sorella, che egli aveva sentito soffrire accanto a lui: le aveva offerto di accompagnarla la sera appresso a teatro. Aveva sentita una grande consolazione percependo della riconoscenza nella voce di Amalia. Poi aveva dimenticato quell’istante, e non aveva più cercato di ripeterlo. Oh, se egli avesse saputo che nella sua vita c’era una missione tanto grave come quella di tutelare una vita affidata unicamente a lui, egli non avrebbe più sentito il bisogno di avvicinarsi ad Angiolina. Ora, troppo tardi forse, era guarito di quell’amore. Pianse in silenzio, nell’ombra, amaramente.

— Stefano — chiamò l’ammalata a bassa voce.