Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/254

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Emilio trasalì e guardò il Balli che si trovava nella parte della stanza ancora scarsamente illuminata dalla luce della finestra. Stefano non doveva aver udito perchè non s’era mosso.

— Se tu lo vuoi, voglio anch’io — disse Amalia. Rinascevano con le identiche parole gli antichi sogni, che il brusco abbandono del Balli aveva soffocati. L’ammalata aveva ora aperti gli occhi e guardava la parete di faccia: — Io sono d’accordo — disse — fa tu, ma presto. — Un colpo di tosse le fece contrarre la faccia dal dolore, ma subito dopo disse: — Oh, la bella giornata! Tanto attesa! — Richiuse gli occhi.

Emilio pensò che avrebbe dovuto allontanare il Balli da quella stanza, ma non ebbe il coraggio. Aveva fatto già tanto male una volta in cui s’era interposto fra il Balli e Amalia. Il balbettìo dell’ammalata ridivenne, per qualche tempo, incomprensibile, ma, quando Emilio incominciava a tranquillarsi, dopo un nuovo accesso di tosse, ella disse chiaramente: — Oh, Stefano, io sto male.

— Chiamò me? — domandò il Balli alzandosi e venendo sino al letto.

— Non ho udito — disse Emilio confuso.

— Io non capisco, dottore, — disse l’ammalata, rivolta al Balli — io sto quieta, mi curo e sto sempre male.

Meravigliato di non essere riconosciuto dopo di essere stato chiamato, il Balli parlò come se fosse