Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/259

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delirio ella lo respingesse da sè. Chiese al Balli: — Hai osservato con quale smorfia di disgusto ha bevuto quel vino? Era quella forse la faccia di chi è abituato a bere?

Il Balli gli diede ragione, ma desideroso di difendere il Carini, disse col solito ingenuo modo di espressione: — Può essere però che la malattia le abbia alterato il palato.

Emilio, dall’ira, si sentì un nodo alla gola: — Tu credi ancora nelle parole di quell’imbecille?

Accorgendosi di tanta commozione, il Balli si scusò: — Io non capisco niente; la sicurezza con la quale ne parlò il Carini mi mise dei dubbi.

Emilio pianse di nuovo. Disse che non era la malattia o la morte d’Amalia che lo portava alla disperazione ma il pensiero che essa era vissuta sempre misconosciuta e vilipesa. Ora il destino implacabile si compiaceva di snaturarne la mite, dolce, virtuosa fisonomia con l’agonia dei viziosi. Il Balli cercò di calmarlo: pensandoci bene trovava anche lui impossibile che Amalia avesse avuto quel vizio. Del resto egli non aveva voluto fare un affronto alla povera fanciulla. Con profonda commiserazione, guardando verso il letto, disse: — Se anche la supposizione del Carini fosse stata giusta, io non avrei mica disprezzato tua sorella.

Stettero lungamente in silenzio alla finestra. Il giallo sulla via veniva cancellato dalla notte che si avanzava rapidamente. Il solo cielo, ove le nubi