Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/267

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da me; ma a quest’ora, certo, si trova già a casa mia.

Ella mentiva, non v’era alcun dubbio. Il Volpini cui, nella mattina, egli aveva scritto quella lettera, eccolo che, prima di riceverla, arrivava, contrito, a chiedere scusa. Sconvolto, rise triste: — Come? Colui che ieri ti scrisse quella lettera, oggi capita a ritirarla in persona ed anzi ti avvisa la sua venuta telegraficamente. Grandi affari! Grandi affari! Da dover ricorrere al telegrafo! E se tu ti ingannassi e in luogo del Volpini fosse un altro?

Ella sorrise ancora sicura di sè: — Ah, a te è stato raccontato dal Sorniani, che due sere fa mi ha visto a ora tarda sulla via, accompagnata da un signore? Avevo lasciata la casa dei Deluigi in quel momento, e avendo paura di camminar sola di notte, quella compagnia mi riuscì comoda. — Egli non l’udiva, ma l’ultima frase di quella ch’ella credeva fosse una giustificazione, la udì e, per la sua stranezza, la ritenne: — Quello era un Deo gratias qualunque. — Poi continuò: — Peccato che ho dimenticato a casa il dispaccio. Ma se non mi vuoi credere, tanto peggio. Non vengo forse sempre puntuale a tutti gli appuntamenti? Perchè oggi avrei da inventare delle frottole per mancarvi?

— È facile capirlo! — disse Emilio ridendo rabbiosamente. — Oggi tu hai un altro appuntamento. Vattene presto! C’è qualcuno che t’attende.

— Ebbene, se credi di me questa cosa, è meglio