Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/282

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nirlo di non agitare l’ammalata. Disgraziatamente Amalia non capiva. Pareva tanto fissa in un’idea unica da averne occupati tutti i sensi: — Dimmi — pregò — che cosa è accaduto? Ho tanta paura! Ho visto te e Vittoria e... — Il sogno s’era mescolato alla realtà; e la sua povera mente fiaccata non sapeva sciogliere la complicata matassa.

— Cerca di capire! — pregò Emilio con calore. — Hai sognato ininterrottamente da ieri. Riposa adesso, e poi penserai. — L’ultima frase era stata detta in seguito a un nuovo gesto della signora Elena la quale perciò attirò a sè l’attenzione di Amalia — Non è Vittoria — disse la poverina evidentemente tranquillata. Oh, quella non era l’intelligenza che poteva essere considerata quale il nunzio della salute; si manifestava con soli lampi che minacciavano d’illuminare e rendere sensibile il dolore. Emilio ne ebbe altrettanta paura come prima del delirio.

Entrò il Balli. Aveva udita la voce d’Amalia e veniva anche lui, sorpreso dell’insperato miglioramento. — Come sta, Amalia? — le domandò affettuosamente.

Ella lo guardò con un’espressione di sorpresa incredula: — Ma dunque non era un sogno? — Considerò lungamente Stefano; guardò poi il fratello e di nuovo il Balli come se avesse voluto confrontare i due corpi e cercare se a uno dei due fosse mancato l’aspetto della realtà. — Ma Emilio — esclamò, — io non capisco!

— Sapendoti ammalata — spiegò Emilio — ha