Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/283

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voluto farmi compagnia questa notte. È sempre il vecchio amico di casa nostra.

Ella non udiva bene: — E Vittoria? — domandò.

— Non è mai stata qui questa donna — disse Emilio.

— Egli ha diritto di far così. E tu resta pure con loro — borbottò ella ed ebbe negli occhi un lampo di rancore. Poi dimenticò tutto e tutti guardando la luce alla finestra.

Stefano le disse: — Mi ascolti, Amalia! Io non ho mai conosciuta quella Vittoria di cui ella parla. Sono il suo devoto amico e sono rimasto qui per assisterla.

Ella non ascoltava. Guardava la luce alla finestra con un evidente sforzo per acuire l’occhio semispento. Guardava estatica, ammirando. Ebbe una brutta smorfia che pure rassomigliò a un sorriso.

— Oh — disse — quanti bei fanciulli. — Ammirò lungamente. Il delirio era ritornato. Ci fu però una sosta fra i sogni della notte e le immagini luminose ch’erano vestite del colore dell’aurora. Vedeva bimbi rosei ballare al sole. Un delirio di poche parole. Designava l’oggetto che vedeva e null’altro. La propria vita era dimenticata. Non nominò il Balli, nè Vittoria, nè Emilio. — Quanta luce — disse affascinata. Anch’ella s’illuminò. Sotto alla pelle diafana si vide salire il sangue rosso e colorarle le gote e la fronte. Ella mutava ma non sentiva se stessa. Guardava le cose che sempre più s’allontanavano da lei.