Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/31

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a lui parve ch’ella volesse prenderlo per il collo e gettarlo in quella condizione che tanto temeva — io vivrei accanto all’uomo cui volessi bene, povera e rassegnata.

— Ma non io — disse egli dopo una breve pausa e fingendo d’aver esitato per un istante. — Io mi conosco. Nelle strettezze non saprei neppure amare. — E, dopo altra breve pausa, aggiunse con voce grave e profonda: — Mai! — mentre ella lo guardava seria, il mento appoggiato al manico dell’ombrellino.

Rimesse così le cose a posto, osservò — e quest’era l’avviamento all’educazione che voleva darle — che per lei sarebbe stato preferibile che le si fosse avvicinato un altro di quei cinque o sei giovanotti che quel giorno l’avevano ammirata con lui: Carlini ricco, Bardi che sprecava spensieratamente gli ultimi resti della sua gioventù e della sua grossa fortuna, Nelli affarista che guadagnava molto. Ciascuno di loro, per un verso o per l’altro, valeva più di lui.

Ella, per un momento, trovò la nota giusta. S'offese! Era però troppo visibile che il suo risentimento era voluto, esagerato, ed Emilio dovette accorgersene; ma non le imputò a colpa tale finzione. Dimenandosi con tutto il corpo, ella simulava uno sforzo per svincolarsi da lui, per andar via, ma la violenza di questo sforzo non arrivava fino alle braccia per le quali egli la tratteneva. Quelle subivano la sua stretta quasi inerti e finì che egli le accarezzò, le baciò e non le strinse più.

Le chiese scusa; non s’era spiegato bene e, corag-