Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/88

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mente ella tacque. Dimenticò che s’era parlato del fratello e pensò a se stessa. Oh, cosa strana, meravigliosa! Ella aveva parlato altre volte d’amore, ma altrimenti, senz’indulgenza, perchè non si doveva. Come aveva preso sul serio quell’imperativo che le era stato gridato nelle orecchie sin dall’infanzia. Aveva odiato, disprezzato coloro che non avevano obbedito e in se stessa aveva soffocato qualunque tentativo di ribellione. Era stata truffata! Il Balli era la virtù e la forza, il Balli che dell’amore parlava tanto serenamente, dell’amore che per lui non era stato mai un peccato. Quanto doveva aver amato! Con la voce dolce e con quegli occhi azzurri, sorridenti, egli amava sempre tutto e tutti, anche lei.

Stefano restò a pranzo. Un po’ turbata, Amalia aveva annunziato che ci sarebbe stato poco da mangiare, ma il Balli ebbe anzi la sorpresa di trovare che in quella casa si mangiava molto bene. Da anni Amalia passava una buona parte della sua giornata al focolare e s’era fatta una buona cuciniera quale occorreva al palato delicato d’Emilio.

Stefano era rimasto volentieri. Gli pareva d’essere stato soccombente nella discussione con Emilio e gli restava accanto in attesa della rivincita, soddisfatto che Amalia gli desse ragione, lo scusasse e appoggiasse, tutta sua.

Per lui e per Amalia quel pranzo fu lietissimo. Egli fu ciarliero. Raccontò della sua prima gioventù ricca di avventure sorprendenti. Quando la penuria che lo costringeva ad aiutarsi con espedienti più o