Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/89

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meno delicati, ma sempre allegri, minacciava di farsi miseria, era capitato sempre il soccorso. Raccontò in tutt’i dettagli un’avventura che lo aveva salvato dalla fame facendogli guadagnare una mancia per un cane trovato.

E sempre così: Terminati gli studii, girovagava per Milano in procinto d’accettare il posto d’ispettore offertogli in un’azienda commerciale. Come scultore era difficile d’incominciare la carriera; subito, agli esordii, sarebbe morto di fame. Passando un giorno dinanzi ad un palazzo nel quale erano esposte le opere di un artista morto da poco, egli vi andò per dare l’ultimo addio alla scultura. Vi trovò un amico e in due si misero a demolire senza pietà le opere esposte. Con l’amarezza che gli derivava dalla sua posizione disperata, il Balli trovava tutto mediocre, insignificante. Parlava ad alta voce, con grande calore; quella critica doveva essere l’ultima sua opera di artista. Nell’ultima stanza, dinanzi al lavoro che il defunto maestro non aveva potuto finire per la malattia da cui era stato colto, il Balli si fermò meravigliato di non poter finire la sua critica sul tono su cui l’aveva tenuta sino allora. Quel gesso rappresentava una testa di donna dal profilo energico, dalle linee decise rudemente sbozzate, eppure significanti fortemente dolore e pensiero. Il Balli si commosse romorosamente. Scopriva che nel defunto scultore l’artista era esistito fino all’abbozzo e che l’accademico era sempre intervenuto a distruggere l’artista, dimenticando le prime impressioni, il primo senti-