Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/232

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Oh! egli da molto tempo l’aveva dimenticata quella povera donna che moriva. Erano tre settimane ch’ella non gli aveva scritto e lui tutto intento intorno alle gonnelle di Annetta non se n’era neppure accorto. Non avrebbe dovuto comprendere che solo un grave impedimento poteva averle fatto interromper l’invio di solito tanto regolare delle sue letterine? 

Era giunto finalmente nell’orto dinanzi alla casa. Una vecchia alta e robusta vi raccoglieva delle ortaglie. 

— Che cosa comanda? — gli chiese rizzandosi in tutta la sua lunghezza. 

Era una faccia a lui del tutto nuova. La pelle di questo volto, che solo per la mancanza di peli si riconosceva appartenere a donna, era incartapecorita dal sole e tutta l’espressione della faccia si concentrava nei due occhietti neri, vivaci, da sorcio, inquadrati in quel legno. 

— Come sta mia madre? — chiese Alfonso impaziente. 

— Oh! il signor Alfonso! Ha fatto bene a venire, — disse con lentezza la vecchia, e venne a lui. — La signora, dice il signor dottore, sta meglio. 

Stava meglio quando egli la credeva morta! Ad ogni modo gli veniva accordato il tempo per baciarla e dimostrarle l’affetto immenso che gli gonfiava il cuore. Il caso lo trattava meglio di quanto egli meritasse. 

— Entri! entri! — gli disse la vecchia che guardava con desiderio le sue ortaglie. 

Egli non volle e la invitò ad andare essa la prima a preparare l’ammalata. Poi, vedendo ch’ella indugiava, le spiegò che doveva avvertire dapprima che c’era qualcuno, poi qualcuno che l’avrebbe grandemente sorpresa di rivedere, infine qualcuno che le sarebbe stato caro di rivedere, suo figlio. 

Entrò con lei in casa. Le due uniche stanze che i Nitti avessero abitato nella casa relativamente vasta erano situate al pianterreno. Erano le uniche due che avessero luce a sufficienza e vano era stato il tentativo del defunto dottore di abituarsi ad una terza per servirsene di stanza di studio. Mancava di luce ed era troppo