Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/233

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grande perché il vecchio medico co’ suoi pochi mobili e la miserabile biblioteca non vi si sentisse troppo solo; la stanza rimase destinata a biblioteca, ma il dottore non studiò piú nulla. 

La stanza posta immediatamente all’entrata era vuota con un solo letticciuolo in un canto, mentre quando Alfonso l’aveva abitata era stata fornita di tutto quanto si poteva nelle condizioni della famiglia Nitti. Alle mura erano stati appesi i pochi quadri che la famigliuola possedeva e molte riproduzioni di quadri celebri, parecchi di Orazio Vernet, cammelli dai corpi enormi e fisonomie tranquille, pazienti, bestie piú simpatiche degli uomini che li conducevano.  

Nell’altra stanza avevano abitato i coniugi Nitti. Era ripiena di vecchi mobili enormi di legno semplice che stavano bene in quello stanzone e lo rendevano abitabile. Fra le due finestre v’era un orologio moderno a pendolo, l’ultimo oggetto che il Nitti avesse portato in casa. Durante i mesi di malattia del vecchio medico, la famigliuola, per fargli compagnia, aveva pranzato in quella stanza e nel mezzo era stato posto il tavolo che doveva ancora esserci, a quanto la signora Carolina aveva scritto ad Alfonso. 

La tristezza che lo assalí in quella prima stanza, ove attendeva di venir chiamato e che riconosceva ad onta che non vi fosse alcun oggetto che aiutasse i suoi ricordi, non era tutta risultato del trovare sua madre ammalata. Questa a cui egli sentiva di andare ad assistere era una delle sventure della sua vita. Grandissima era stata quella della morte del padre! In quei luoghi, dinanzi al villaggio e alla casa e in quella prima stanza, dacché aveva abbandonato la ferrovia, egli si sentiva accompagnato dal suo ricordo. La bella gioventú che gli aveva fatto passare: quanto tranquilla, protetta! La famiglia doveva certo aver passato delle brutte epoche ed egli nulla ne aveva saputo, né durante la prima gioventú in villaggio, né poi in città ove il vecchio Nitti per qualche tempo aveva tentato invano di farsi una clientela. Quanta bontà e quanta rassegnazione! Non s’era lagnato mai il