Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/256

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Era divenuta sempre piú pesante l’atmosfera in quella stanza e persino Alfonso si sentiva sollevato quando poteva correre per una mezz’ora all’aperto. Non si poteva piú ventilare la stanza perché in pochi giorni, dopo una nevicata, la temperatura si era sensibilmente abbassata, tanto che le lastre delle finestre erano coperte di fogliami capricciosi di ghiaccio. Anche quando si sentiva mancare il fiato l’ammalata non chiedeva piú si aprissero le finestre perché una volta che dall’aria aveva sperato sollievo poco mancò che quel freddo tagliente non la ammazzasse. 

Era una vita ben strana quella ch’egli conduceva in quella stanza, tutto il giorno occupato a convincere l’ammalata che il suo male non era grave o a tentare di alleviarglielo. Un giorno era tanto simile all’altro ch’egli non avrebbe saputo dire da quanto tempo si trovasse nel villaggio. Era tanto lontana l’epoca in cui aveva amoreggiato con Annetta! 

Un giorno il postiere Marco gli portò due lettere. Una, a quanto disse Marco che nelle sue lunghe gite nei dintorni si divertiva a fare degli studî sui caratteri degl’indirizzi, doveva essere di donna. Ricevendole Alfonso ebbe un sentimento spiacevole. Non a tutti dunque sembrava che il tempo passato fosse tanto da far dimenticare avvenimenti e persone! 

L’altra era di uomo, la caratteristica calligrafia di Sanneo, ma firmata da Cellani. Veramente una lettera della banca Maller e C. e anche quanto a contenuto. Con la forma fredda e misurata che la banca usava per fare ai suoi clienti delle comunicazioni d’affari, gli veniva annunciato che dal telegramma a lui indirizzato, firmato «Mascotti», la direzione aveva saputo della gravità della malattia di sua madre e che perciò, spontaneamente, portava il permesso accordatogli da quindici giorni a un mese. La forma burocratica dello scritto, firmato da Cellani con quel segno ch’egli usava per gli avvisi alla contabilità, non sorprese Alfonso. Fu grato per il mese di permesso e immediatamente lesse la lettera alla signora Carolina, la quale trovandosi in un istante di disperazione mormorò foscamente: 

— Un mese basterà! 

L’altra lettera era di Francesca.