Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/273

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cissime, di compassione. Il dolore di sentirsi ora tanto solo nel mondo non lo faceva piangere. Piangeva per la povera vecchia ch’era morta amando la vita e che molto tempo prima aveva saputo di doverla abbandonare. Egli viveva e continuava a vivere, ed era cosa dolce questa vita quando il fluire del sangue, il macchinismo su cui essa riposava, per la sua regolarità non si sentiva e si aveva la calma e la certezza di vivere, il sentimento di durare eternamente. 

Si mise a ridere vedendo Giuseppina, perché si rammentava di averla vista all’opera quale infermiera. 

— Il vecchio dunque mi ha gettato fuori di casa? — Giuseppina protestò: 

— L’ha fatta trasportare con tutta comodità in carrozza. 

Da quanto Giuseppina gli raccontò, egli comprese ch’era stato allontanato dalla casa di Mascotti per il timore che Frontini non aveva saputo distruggere in costui che si trattasse di tifo. Era stata la figliuola del notaio a chiedere con maggior violenza il suo allontanamento, e un giorno, spaventata da un’emicrania che le durò poche ore, dinanzi a Frontini, pose al padre il dilemma: 

— O fuori lui o fuori io! 

Frontini aveva chiesto due giorni di venia e al terzo, giungendo, lo aveva trovato già trasportato sulle scale, cosí che non aveva potuto fare altro che aiutare al trasporto e assumerne la direzione acciocché venisse fatto con prudenza. In tutti i dettagli era realtà quello che ad Alfonso era sembrato sogno. Sulle scale egli aveva resistito, debolmente perché mancava di forze, ma dopo la prima boccata d’aria fresca s’era quietato, aveva guardato d’intorno con aria di sorpresa e senza dire una parola s’era lasciato adagiare nella carretta a grande gioia di Mascotti che gridava: 

— Ma se sta bene, ma se si può trasportarlo senza pericolo alcuno magari fino in città. 

— Che birbante! — mormorò Alfonso indignato al pensare che per oltre tre anni sua madre non aveva avuto quale protettore che quell’individuo. 

Frontini venne poco dopo e fu oltremodo sorpreso al