Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/341

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Ma il giorno appresso gli accadde cosa per cui il ragionamento piú non bastò a consolarlo; era una vera disgrazia che gli toccava e allora appena poté dirsi perseguitato. 

Alla mattina di buon’ora, come sempre, egli andò da Sanneo a chiedere le istruzioni per le lettere arrivate il giorno innanzi. Sanneo lo accolse con un sorriso imbarazzato, tenne dinanzi a sé il pacco di lettere guardandolo fisso non per vederlo ma per aver il tempo a riflettere. Con tono cortese pregò Alfonso che prima di ricevere le istruzioni andasse da Cellani che voleva parlargli. 

— Non sa che cosa voglia dirmi? — chiese Alfonso desideroso di potersi preparare alle comunicazioni di Cellani le quali egli già aveva indovinato importantissime. 

— Non lo so! — rispose Sanneo, — ma credo che in quelle stanze abbiano perduto la testa. 

Però egli sapeva benissimo di che cosa si trattasse perché, con la sbadataggine che metteva in tutti gli affari che non erano d’ufficio, lo pregò di consegnare a Bravicci il fascio di carte che aveva in mano. Era cortese ma non tanto da perdere tempo e cosí Alfonso si aspettò al peggio. Veniva congedato. 

Cellani non c’era nella sua stanza ma accorse non appena udí che Alfonso era entrato. Fu serio, molto serio, ma visto che gli dirigeva finalmente delle frasi intiere, ad Alfonso sembrò piú cortese del solito. 

— Ho da comunicarle qualche cosa che a lei forse farà piacere. — Ne dubitava e ad onta del suo aspetto serio la sua frase finí coll’apparire ironica. — In contabilità hanno bisogno di un impiegato pratico per il maestro centrale e il signor Maller decise che quest’impiegato sia lei. 

Era un comando, non una proposta, mentre di solito i trasferimenti alla contabilità si facevano solamente col consenso degl’impiegati a cui si proponevano. 

— Cosí che debbo lasciare la corrispondenza? — chiese Alfonso per prolungare il colloquio. Era irresoluto se protestare, non subire tranquillamente quella ch’egli già aveva riconosciuto essere un’offesa e una punizione, oppure rassegnarsi con buona grazia a cosa ch’era senza rime-