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122 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
per liberarsi dalla potenza di quello che altri ne affrontassero per conseguirla.
L’ora delle vendette era sonata: la virtù non più reputavasi a colpa, e la libera parola sonava altamente a difesa dei virtuosi infelici, e a persecuzione dei ribaldi fatti potenti dalla turpe protezione dei principi. Nei primi giorni dell’era nuova ognuno con grida scomposte e turbolente accusava e opprimeva i propri nemici, ma i meno potenti. Plinio e Tacito più coraggiosi degli altri assalirono apertamente i rei più terribili e tuonarono contro di essi in Senato non curando di odii e minaccie. Andò famosa la loro difesa della provincia di Affrica assassinata da Mario Prisco proconsole, il quale per un milione di sesterzi aveva venduta la condanna a morte di otto innocenti, e l’esilio di un altro. Quello fu un grande spettacolo. L’atrocità del delitto, il rumore della causa e la grande aspettativa vi attirarono da ogni parte la gente. Grande fu il concorso dei senatori: l’imperatore da sè stesso presedeva al Senato. Molti presentaronsi anche a difesa dell’accusato e dei complici. In tanta solennità di adunanza, in causa sì grande ed insolita, trepidavano anche i difensori della giustizia: ma incuorati dalla forza della ragione e del vero fecero prova di tutta la loro eloquenza. Plinio parlò più di cinque ore: Tacito orò eloquentissimamente e con la solita sua gravità. Il dibattimento continuò per tre giorni, e alla fine i rei furono condannati e gli oratori ebbero dal Senato pubblica lode di avere degnamente compiuto le parti del loro mandato.
Intorno al medesimo tempo molta lode acquistavasi Plinio anche col libro della Vendetta di Elvidio da lui difeso solennemente in Senato. Questi era figlio dell’altro Elvidio, del forte stoico nemicissimo della tirannide dei