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136 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

le più inaudite libidini. Solo gli è amica e compagna una mala genia di uomini ritrovata a pubblico danno, le spie, gli assassini, gli avvelenatori. Questo crudelissimo malanno, dice Tacito, introdottosi a poco a poco, da ultimo arse e divorò tutto: quello delle spie divenne un mestiero celebre per la miseria dei tempi e per l’impudenza degli uomini. Ogni morto di fame, ognuno che in lusso avea scialacquato gli aviti retaggi e voleva rifar sua fortuna, ogni uomo marcito nel sonno o in libidinose veglie, volendo salire in favore e potenza, si faceva con la delazione puntello del dispostismo, e serviva alle crudeltà del tiranno. Costoro andavano attorno per piazze e taverne, raccoglievano ogni innocente parola, e tortala a peggio la usavano ad accusa. Il morbo poi diventò contagioso, e la pessima condizione dei tempi portò anche i primi dei senatori ad abbassarsi all’infame mestiero, e a vendere amici e parenti. Tiberio esaltava la loro eloquenza, gli aveva più cari quanto più si mostravano accusatori spietati, gli empiva di ricchezze e d’onori, e li chiamava pubblicamente conservatori dell’ordine e delle leggi. Il che non parrà incredibile a noi che vedemmo sbirri e delatori vituperosissimi onorati di regii sorrisi, di pensioni, di croci e di titoli. Sotto Tiberio non mancò anche l’infamia di quelli che l’età nostra chiamò agenti provocatori che spingevano gl’incauti al delitto per accusarli e farsi ricchi di loro spoglie. Moltiplicandosi siffatte scelleratezze, ne nacque universale terrore, specialmente quando cominciarono a imperversare le accuse di maestà.

Una legge antica dei liberi tempi perseguitava coloro che con tradire l’esercito, sollevare la plebe o male amministrare la Repubblica menomassero la maestà del popolo romano: ma allora si punivano i fatti non le