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161 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

ficoltà del suo argomento: non vi era potenza di arte e d’ingegno che valesse a rendere sempre variato ciò che di sua natura è spaventosamente uniforme, a spargere di lieta luce quest’inferno di tenebre e di dolore. Quindi ci sembra ingiusto il rimprovero che altri gli fa di dilettarsi troppo delle pitture tragiche e delle descrizioni terribili. È ingiusto domandare ai personaggi di Tacito il libero movimento degli uomini di altri tempi. Sotto la dominazione del terrore niuno può mostrare spontaneamente il suo genio: la paura stringe tutti alla falsità o al silenzio. Quindi è inutile e peggio cercare la letizia e le libere voci del popolo quando pel Foro echeggiano solamente le grida delle vittime gettate delle gemonie. Tacito sentì da sè stesso che era insuperabile questa difficoltà portata dalla natura del suo argomento, e lo confessò negli Annali, ove paragonandosi agli storici dei tempi della Repubblica, dice: so bene che le più delle cose che ho narrate e che narrerò possono forse parere di poco momento e non degne di memoria. Ma niuno dee paragonare i nostri Annali con gli scritti di quelli che raccontarono gli antichi fatti del popolo romano. Essi memoravano grosse guerre, espugnazioni di città, disfatte e presure di re: e quando volgevansi alle cose interne, con libero andamento descrivevano discordie di consoli e di tribuni, leggi agrarie e frumentarie, contese di ottimati e di plebe. Con descrizioni di paesi, con varietà di battaglie, con chiare morti di capitani trattenevano e dilettavano gli animi dei leggitori. Noi abbiamo angusta e ingloriosa fatica. Pace immobile o lievemente agitata, meste le cose della città, e niun pensiero di allargare l’impero. Abbiamo a raccorre in un fascio comandi atroci, accuse continue, amicizie fallaci. oppressioni d’innocenti, cause medesime riuscite