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163 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

adulatore, impostore e cattivo scrittore a noi pare che meno si allontanassero dal vero coloro che lo rimproverarono di cadere nell’oscurità per amore soverchio di concisione, di essere qualche volta più ragionatore che narratore, di amare troppo i concetti, di mettere filosofia e politica dappertutto, e anche nella bocca dei barbari. Pure gli rimane tanta ricchezza di grandi e originali bellezze, che anche dal lato dello stile lo rendono il primo scrittore del suo tempo. Se poi si riguarda dal lato filosofico e morale, egli forse non patisce confronto in tutta l’antichità. Gli altri scrittori possono abbondare più nei pregi esterni, essere più puri, più eleganti, più variati, ma niuno è più profondo e più sottile indagatore delle cause e delle ragioni dei fatti. Egli è l’ultimo grande scrittore di Roma, che fa sentire per l’ultima volta la voce solenne del genio romano: è grave politico e sublime moralista: unisce la profondità al sentimento, e la splendida imaginazione al severo giudizio, e col suo potente pensiero abbraccia il passato e il presente e intravede l’avvenire.

Tacito è un repubblicano che scrive la storia della tirannide, nelle brutture della quale trova conforto solamente volgendo lo sguardo al passato. L’imagine di Roma antica gli sta viva nel cuore: ei ne vagheggia la gloria, la potenza, la libertà. La severità degli antichi costumi, il senno degli ordinamenti civili, la fama delle battaglie e delle rumorose adunanze del Foro, la potenza dei consoli, la gloria e lo splendore del senato sono perpetuo desiderio dell’anima sua. Ma non è uomo da pascersi di vane speranze: vede che la libertà repubblicana non può più tornare, ed accetta questo nuovo ordine come una fatale necessità, come un effetto dell’ira de’ numi contro le umane tristizie. Pure l’anima gene-