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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/128

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LIBRO SECONDO 121

la fedeltà medesima che lo tenni.„ A Domizio comanda che con una galea, largo da terra e isole, per alto mare vadia in Sorìa. Quanti truffatori e bagaglioni a lui corrono acciarpa e arma; giunte le navi a terra, sorprende una insegna di bisogni che in Sorìa andavano; chiede aiuti a’ baroni di Cilicia; amministrando con valore il giovane Pisone la guerra, benché da lui contraddetta.

LXXIX. Costeggiando adunque la Licia e la Panfilia, riscontrarono l’armata che portava Agrippina. Come nimici si misono in arme: la paura fu divisa: ringhiossi, e non altro. M. Vibio intimò a Pisone che venisse a Roma a difendersi. Rispose motteggiandolo, che vi sarebbe quando il giudice delle malie avesse citato le parti. Intanto Domizio giunto a Laodicea città di Sorìa, s’avviò agli alloggiamenti della legion sesta, la più atta a novità; ma Pacuvio Legato v’entrò prima. Senzio per lettere se ne dolse con Pisone, avvertendolo a non mettere sollevatori nel campo, e guerra nella provincia; e tutti i divoti di Germanico, e nimici de’ suoi nimici adunò: e mostrando loro quanto l’imperadore era grande, e che la repubblica era assalita con l’arme, fece una buona oste, e pronta a combattere.

LXXX. Pisone, a cui le cose non riuscivano, per lo miglior partito prese Celendri, forte castello in Cilicia, e avendo tra di truffatori e gentame dianzi sorpresa, e servidorame di Plancina e suo, e d’aiuti di que’ Cilici, racimolato il novero d’una legione, dicea loro: Sè essere il Legato di Cesare: cacciato dalla provincia ch’ei gli diè, non dalle legioni che il chiamavano; ma da Senzio, per odio privato colorito di pubbliche accuse false. Bastare presentarsi