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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/147

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140 DEGLI ANNALI


XVIII. Di questa sentenza il principe moderò molte cose: Che il nome di Pisone non si radesse, poiché pur vi erano quelli di Marcantonio, che fece guerra alla patria, e di Giuliantonio, che violò la casa d’Augusto; che Marco non ricevesse quel frego, e godesse suo patrimonio, perché Tiberio, come ho detto, non fu avaro, e la vergogna della prosciolta Plancina lo fece men crudo. Nè volle che a Marte Vendicatore si consegrasse nel suo tempio statua d’oro, come voleva Valerio Messalino; nè altre alla Vendetta, come Cecina Severo; dicendo: Tali cose farsi per le vittorie di fuori; i mali di casa seppellirsi nel dispiacere1. Avendo Messalino aggiunto; Che della vendetta di Germanico s’andasse a ringraziare Tiberio, Augusta, Antonia, Agrippina e Druso, L. Asprenate, presente il senato, gli disse: „E Claudio? lascil tu a sciente2„? allora si scrisse: „E Claudio.„ Quanto io più le memorie antiche e nuove rivolgo, più trovo da ridere de’ fatti de’ mortali. Ogn’altri per futuro principe s’intonava, sperava, venerava, che costui, che la fortuna teneva in petto.

XIX. Indi a pochi giorni Cesare fece dare dal senato a Vitellio, a Veranio, a Serveo, certi sacerdozj. A Fulcinio promise favorirlo, chiedendo onori; e l’avvertì a non iscavezzar la rettorica3 per

  1. Augusto le divolgò, e n’ebbe biasimo. Domiziano, Aminta, Filippo e altri con loda le tennero in seno. Lorenzo dei Medici a uno che voleva dar nel sangue, ricordò che gli agiamenti a Firenze si votano di notte.
  2. Vi s’intende, animo; così dicevano gli antichi gentilmente; noi diciamo apposta, impruova, sgraziatamente.
  3. Costui per troppo conficcar Pisone e Plancina, come poco disopra ò detto, gli mise in compassione e liberò.