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LIBRO TERZO 139


XVII. Tiberio scusò il giovane della guerra civile, comandata dal padre, come forzato a ubbidirgli; e increbbegli della nobil famiglia, e del grave caso del morto, che che meritasse. Per assolvere Plancina allegò con ingiustizia e vergogna i preghi di sua madre, la quale i migliori bestemmiavano piano: „Che avola è questa, che puote vedersi innanzi l’ucciditrice di suo nipote? Le favella, la ruba al senato, alla giustizia, che non si negherebbe, se non a Germanico. Vitellio e Veranio l’han pianto; lo imperadore e Augusta difendon Plancina. Dachè i veleni è le negromanzie riescon sì bene, adoprinli in Agrippina e ne’ figliuoli; saziasi li prodi avola e zio del sangue di quella casa miserissima.„ Si fece vista di tritare questa causa ben due giorni; e Cesare stimolò i figliuoli di Pisone a difendere lor madre. Affannandosi gli accusanti e le prove, a chi più conficcarli, rispondente niuno, fecero di lei più increscere che incrudelire. Aurelio Cotta consolo fu il primo a parlare (perchè quando Cesare proponeva, il consolo diceva la prima sentenza) e disse: che il nome di Pisone si radesse del calendario; la metà de’ beni andasse in comune, l’altra si concedesse a Gneo, il quale si mutasse il nome proprio. A Marco si togliesse il grado di senatore, con dargli cento venticinque1 fiorini d’oro, e mandarlo via per dieci anni. Plancina s’assolvesse in grazia d’Augusta.

  1. (Dargli cento venticinque  1 mila fiorini d’oro, e mandarlo via). Di colpa sì grave, da prìncipe sì crudo fu scusato, e datogli da vivere da Romano: tanto rispettata, era la nobiltà.
    1. Mila non è nel Testo: e qui mancava d’oro.