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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/166

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LIBRO TERZO 159

dulo più a quelle. Aterio Agrippa, eletto consolo, dannava il reo al sommo supplizio1;

L. M. Lepido contraddisse così: „Se noi guardiamo solamente, Padri coscritti, con che nefanda voce Lutorio Prisco ha sporcato la sua mente e gli orecchi degli uomini, nè carcere, nè laccio, nè servile strazio gli è tanto. Ma se il discreto principe, se gli antichi, se voi, date pure alli smoderati peccati moderati supplizj o rimedi, e divario è da vanità a malizia, da detto a fatto, e’ si può dare una sentenza, per la quale costui si gastighi, e noi facciamo equità. Io ho udito più volte il principe nostro dolersi del non aver potuto graziare alcuni ammazzatisi troppo presto. Lutorio è vivo: e non fia di pericolo il mantenerlo, nè d’esempio l’ucciderlo. Attende a frottole e debolezze, che svaniscono; e poco male vuol farci chi s’accusa dassè, e piglia gli animi non degli uomini, ma delle donne. Caccisi nondimeno fuor di Roma, perda i beni, e acqua e fuoco, come fusse caso di stato.„

LI. Rubellio Blando solo, uomo consolare, seguitò Lepido: tutti altri Agrippa. Prisco fu incarcerato, e caldo caldo ucciso. Tiberio ai Padri ne fece richiamo co’ suo’ andirivieni; lodò a cielo la lor santa mente in punire ogni lieve offesa del principe: pregò non fulminassero pene alle parole: lodò Lepido, e Agrippa non biasimò. Là onde i Padri ordinato: Che i loro decreti per dieci dì non andassero in camera, per dare a’ giudicati questo spazio di vita. Ma nè il senato aveva libertà di ritoccarli, nè Tiberio per indugio si mitigava.

  1. Qual fosse, vedi la Postilla del 2 libro, §. XXXII.