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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/179

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172 DEGLI ANNALI

lunga adulazione, detto molto male di Silano, inferì: „Che niuno infame e mal vissuto governasse provincia, e tocchi al principe il dichiararlo; perché le leggi puniscono i peccati fatti: or quanto minor male per quelli, e bene per le province, provvedere al non farne?„

LXIX. Tiberio disse contro: „Che sapeva quel che diceva il popolo di Silano; ma non si doveva far legge alle grida. Chi è riuscito nel governare meglio, chi peggio di quel ch’era creduto; nelle gran faccende, chi si risveglia, chi stupidisce; il principe non può saper tutto, nè dee lasciarsi menare a voglia d’alcuno. Le leggi gastigano i peccati fatti, non i futuri, che non si sanno. Così ordinaro i nostri antichi, che dietro ai peccati seguisser le pene; non fate il contrario delle cose saviamente trovate, e sempre piaciute. I principi hanno pur troppo carico e potere; che quando cresce, le leggi scemano. E non è bene usar l’imperio dove si può far con le leggi.„ Quanto più rade soddisfazioni dava Tiberio al popolo, tanto più l’allegrò con questo parlare. E soggiunse lo discreto moderatore, ove ira noi vincea: che Giara era isola disabitata e aspra; mandasserlo per amor della famiglia Giunia, e dell’esser pur senatore, nella Citera, come Torquata sua sorella, vergine di antica santità, domandava. Così fu approvato.

LXX. Udironsi poi li Cirenesi; e Cesio Cordo, orante Ancario Prisco, fu condannato di iniquo reggimento. A Lucio Ennio fu fatto caso di stato l’aversi fatto vasellamento d’una statua d’ariento del principe: non volle ne fosse reo: „Maisì.„ (disse Ateio Capitone, quasi per libertà d’animo) i Padri