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LIBRO QUARTO 189

pronio suo padre nell’isola di Gercinna seco in esiglio; e quivi tra sbanditi e rusticani allevato, andò ramingo per l’Affrica e per la Sicilia, facendo per vivere il ferravecchio; e nondimeno corse pericolo da grande; e se Elio Lamia e L. Apronio, che l’Affrica governavano, non difendevano lo innocente, era per lo sventurato gran sangue e per l’avversità del padre, levato via1.

XIV. Anche questo anno vennero di Grecia ambasciadori per la conferma dell’antiche franchige de’ tempi; i Sami, di Giunone, e ne mostravano decreto delli Anfizioni, fòro comune delle città edificate nell’Asia da’ Greci, già padroni di quelle marine; i Coi, d’Esculapio, e ne avevano antichità non minore, e proprio merito, per aver in essa franchigia salvati i cittadini romani quando il re Mitridate gli faceva per tutte l’isole e città dell’Asia ammazzare. Finalmente Cesare propose le spesse e non attese querele de’ pretori, dell’insolenze de’ commedianti, scandolosi in pubblico e disonesti per le case. Questi, già mattaccini2 per far un poco ridere il popolo, esser venuti a tali sceleratezze e insolenze, che bisognavano i Padri a correggerli; onde furon cacciati d’Italia.

XV. In questo anno Cesare ebbe nuovo dolore, per la morte di un di que’ binati di Druso: nè

  1. Come tutti i grandi: gli altri non portavan perìcolo sì al sicuro.
  2. O Zanni o Ciccantoni, che come gli antichi Osci e Atellani, ancora oggi con goffissima lingua bergamasca o norcina, e con detti e gesti sporchi, e novissimi, fanno arte del far rìdere e corrompere la gioventù; e non sono da’ Cristiani, come allora da’ Gentili, cacciati via.