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204 DEGLI ANNALI


XXXV. „Lascio, che i Greci potevano parlare, non pur libero, ma sbarbazzato; al più vendicavano detti con detti. Ma lo scrivere de’ morti, che non s’odiano nè amano più, nè vietato nè biasimato fu unque. Vo io forse con Cassio e Bruto armati, nei Filippi, a infiammare il popolo a guerra civile? Settanta anni fa moriro; e pur son lasciate riconoscere le loro effige nelle statue salvate, eziandio dal vincitore, e parte de’ loro fatti nelle memorie delli scrittori. L’età che succede rende a ciascuno il suo onore. Nè perchè io sia condannato, mancherà chi ricordi e Bruto e Cassio, e me ancora.„ Uscì di senato, e morì per digiuno. I Padri ordinaro che gli edili ardessero i libri. Ma furon salvati, nascosi, e poi dati fuore. Onde mi rido del poco accorgere di chi crede che i principi possan levar le memorie a’ posteri col punire gl’ingegni; anzi dan loro più credito; nè altro hanno i re stranieri, o altri per tal severità, partorito che a sè vergogna e a quei gloria.

XXXVI. Fioccarono in questo anno tante le cause, che fatto Druso di Roma governatore, venuto per le ferie latine in tribunale, per dare in buon punto principio, Calpurnio Salviano gli venne innanzi contro a Sesto Mario; ma biasimatone in pubblico da Cesare, fu mandato in esilio. I Ciziceni imputati di aver trascurata l’uficiatura del divino Augusto, e soperchiato cittadini romani, ne perdero la libertà guadagnata nell’assedio di Mitridate, cacciato non me-

    non un poeta in maschera per furore o per odio. Nevio che punse i grandi di Roma, ne fu carcerato Si ridisse con belli versi, e fu liberato. Un altro che con infamia nominò Lucilio in commedia, ne fu assoluto da Caio Celio giudice con dire; E’ si rosecchiano tra lor poetuzzi. L’autor a Erennio.