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LIBRO QUARTO 203

nio Agrippa, Cremuzio Cordo ebbe una novissima accusa d’avere in suoi pubblicati Annali lodato M. Bruto, e chiamato C. Cassio l’ultimo romano. Accusavanlo Satrio Secondo, e Pinario Natta, lance di Seiano. Questo gli dava lo scacco: e il viso dell’arme che faceva Cesare alla difesa; la quale Cremuzio, certo di morire, così cominciò: „Io sono, Padri coscritti, sì di fatti innocente, che costoro mi appuntano in parole, non dette contro al principe o sua madre, compresi nella legge dì maestà; ma lode di Bruto e di Cassio, i cui fatti scrissero molti, e niuno li ricordò senza onore. Tito Livio, sovrano in eloquenza e verità, loda tanto Gneo Pompeo, che Augusto il dicea Pompeiano; e pur se lo ritenne amice: chiama Scipione, Afranio, questo Cassio, questo Bruto, segnalati uomini, e non mai ladroni, traditori della patria, come oggi odo. Gli scritti d’Asinio Pollione di essi fanno eccelsa memoria. Messala Corvino appellava Cassio il suo imperadore; e l’uno e l’altro gran potenza e onori ebbe. Al libro di Marco Cicerone, che mette Catone in cielo, che altro fe’ Cesare dettatore, che contrascrivere, e quasi rispondere alle civili? Lettere d’Antonio, dicerie di Bruto, dicono d’Augusto lordure false, ma velenose. Versi di Bibacolo e di Catullo trafiggono gl’imperadori; e pure essi Giulio e Augusto, i divini, gli patirono, e lasciaro leggere: dire non saprei con qual maggiore, o modestia o sapienza, perchè queste cosa sprezzate svaniscono; adirandoti, le confessi1.

  1. È come tagliare l’erbe maligne tra le due terre, che rimettono più rigogliose. Il vero ci ammenda: il falso non fa vergogna; la fa il magistrato, in pubblico, per esempio; e