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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/213

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206 DEGLI ANNALI

assai la mia memoria se crederanno che io sia stato degno de’ miei maggiori, alle cose vostre ben provvedente, ne’ pericoli forte, e d’offender chi si sia, per lo ben pubblico, non curante. Questi saranno i miei tempj negli animi vostri; questi l’effigie bellissime, o da durare. Le opere di sasso, se chi vien dopo le guarda con occhi torti, son sepolture che fetono. Piaccia a tutti i nostri allegati e cittadini e Dii: a questi, mentre avrò vita, concedermi quiete, e intendimento di ragione romana e divina; a quelli, dopo mia morte, con laudi e benigne ricordazioni favorire i fatti e la fama del nome mio.„ Seguitò ne’ suoi privati ragionari ancora dì rifiutare simili adoramenti. Chi diceva, per modestia, molti per diffidare della durata, altri per viltà. Aspirano i mortali generosissimi alle cose altissime; così Ercole e Bacco, appo i Greci, Quirino appo noi, furono fatti Iddii. Meglio fe’ Augusto che lo sperò. Avanzano ai principi tutta le cose; una non deon mai vedersi sazj di procacciarsi, la memoria buona di sé; perchè, spregiando fama, si spregia virtù.

XXXIX. Seiano accecato da troppa fortuna, e riscaldato da Livia del maritaggio promesso, scrisse al principe, benché presente, come s’usava, una lettera così compilata: „La benevolenza d’Augusto, e li molti favori di Tiberio averlo avvezzato a dire i suoi desideri a’ suoi signori sì tosto come agl’Iddii; non aver mai ambito abbagliamento di onori; vegliato, anzi faticato, per l’imperadore, come uno degli altri soldati; e nondimeno conseguito gran cosa, d’esser parente di Cesare. Quinci venirgli speranza; e sappiendo che Augusto nel rimaritar la figliuola ebbe animo a’ cavalieri romani, caso che Livia si dovesse